Circo equidistante dalla fine e dal principio
Scoprirsi sospesi, poggiare su una superficie e sentirsi mancare. Sembra che non ci sia sostegno che possa assicurarci alla terra; malgrado i tanti passi non abbiamo messo radici. Troppi eventi troppe persone troppi tentennamenti ci hanno allontanati dalla certezza.
Attendere, lasciarsi prendere dall’attesa tranquilla, come uccelli appollaiati su una nuvola bianca. Ed avremo all’improvviso gambe leggere, piedi leggeri, saremo canne di bambù in cui soffia il vento. Saremo creature leggere percorse dal cielo, eppure in grado di camminare.
Allora, allora si, raggiungeremo una grazia corporea tale che non ci riconosceremo più gli uni con gli altri. E ci ameremo per quello che siamo, il nulla al centro del nulla.
Ma che sprazzo luminoso, che grande bagliore che siamo.
Abbracceremo l’istante perché sapremo vederne il valore, abbracceremo il fratello che incontriamo per caso perché sapremo riconoscere che l’incontro è un tempo fermato, per noi, solo per noi, per la riconoscenza di esser vivi, per la gioia di condividere meravigliosi stupori.
Qualunque sia la nostra presa, che ci tenga aggrappati per i piedi o per le mani o se, come da un trespolo invisibile, contempliamo la terra e il cielo, tuffarsi ed equilibrarsi in movimento è sempre un miracolo. Cosa ci priva di esser felici? Il tempo? La mancanza di qualcosa o qualcuno? No, il non sapere oscillare gioiosamente tra un capriccio e l’altro del destino.
Il barcollare ingenuo degli ubriachi e le capriole maldestre del clown ci insegnano che cadere e rialzarsi sono una sola cosa, un’avventura del corpo e una risalita dell’anima.
Il gioco degli equilibri va mantenuto, il tuffo dell’angelo del cielo va rispettato. Perché non c’è precipizio da cui non possiamo rinvenire, non c’è colore che non possa rinsavirci. Ogni sfumatura è una cura che attende di essere afferrata.
La vita, in fondo, è un gioco di prestigio ripetuto ogni volta che vogliamo. Scivolare giù senza più paura, spiccare un volo in su. Camminare su un filo sospeso e andare avanti solo avanti certi che arriveremo.
Un flamenco impazzito imprime le impronte in mezzo alla pista battuta dai cavalli in cerchio; un calpestio all’unisono che dice “noi siamo qui”, “insieme”, “ancora”, “ora”! La musica riempie ogni spazio, diventiamo anche noi vibrazioni e ci espandiamo per empatia emozionale col volo d’angelo e la risalita, la natura e la riconoscenza.
Ad ognuno un volteggio, un salto, e anche sempre una caduta, ogni tanto, così, per prenderci gioco della perfezione. Un naso rosso e siamo tutti al sicuro. Un buffo cappello, un sorriso da un volto troppo truccato, luci che annullano tristezze di strada, un trapezio abitato da figure angeliche, una prova di forza… Un palloncino che fa pum e si perde lontano.
Rosa Manauzzi
Molte delle immagini di ‘Circus’ sono state realizzate al Festival Internazionale del Circo d’Italia.
Circus (2009-2016)